Il bimbo de oro, l'areoplanino e il Re Leone. La Roma è campione d'Italia per la terza volta nella sua storia. L'Olimpico esplode, una città intera esplode, mentre i cugini, che l'anno prima festeggiavano, si rintanano nelle loro case per tanto, tanto tempo. Era un calcio diverso, dominato dai sentimenti, dalle bandiere, da proprietà legate alla storia del club, come il nostro Franco Sensi. Oggi quel sentimentalismo non c'è più. I calciatori pensano solo al dio denaro, le società oramai sono quasi del tutto capitanate da magnati stranieri, e, complice il covid, il tifo si è un pò affievolito. A Roma i dieci anni di Pallotta sembrano aver tolto l'anima al tifo giallorosso, svuotato da quel senso di appartenenza e da quella passione viscerale che sempre lo hanno contraddistinto. L'estate scorsa però la svolta: arrivano i Friedkin, proprietà silenziosa, che lavora (e bene) dietro i riflettori, senza farsi notare. La stagione non è delle migliori, la Roma termina settima in campionato e, come da 12 anni a questa parte, senza un trofeo. Si parla di Sarri, forse Allegri, ma il 4 maggio succede qualcosa di inaspettato, quel qualcosa che non accadeva dall'arrivo di Capello: la Roma prende Josè Mourinho.  Se qualcuno aveva dubbi sul fatto che noi tifosi fossimo ancora vivi, quel giorno se l'è tolto. La città è in fermento, adulti di 40,50, 60 anni saltano e gioiscono come bambini. Mourinho ha riportato tutti a poter sognare, a sperare di vedere di nuovo la Roma vincere, anche perchè è passato tanto, troppo tempo.

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