Ecco i titoli odierni di alcuni dei maggiori quotidiani italiani:

La Gazzetta dello Sport: Uno strappa ovunque, l’altro fa sostanzialmente la stessa cosa anche se ama partire di più a destra. In comune hanno tante cose, ad iniziare da un destino quasi scritto negli astri: Chiesa per la Juventus, Zaniolo per la Roma. Con un minimo comun denominatore, la Nazionale di Roberto Mancini nella testa. Chiesa ci sta dentro da un po’ e ne è anche un protagonista assoluto, Zaniolo ci vuole tornare presto, ad iniziare dal prossimo giro, quello di novembre, quando l’Italia si giocherà gran parte delle sue chance di andare al Mondiale a Roma, contro la Svizzera. Già, Qatar 2022, l’obiettivo delle due stelline. Che quando partono a campo aperto non le fermi più, sono capaci di portarsi via tutto ciò che trovano sulla propria strada. Perché tra le tante cose che li accomunano c’è anche un’esplosività senza precedenti, di quelle che fanno di Chiesa e Zaniolo due giocatori differenti da tutti gli altri. Domani sera si sfideranno a distanza all’Allianz Stadium, magari come facevano da piccolini nel settore giovanile della Fiorentina. Enrico e Nicolò non erano nella stessa squadra, ma comunque facevano parlare di sé. Anche se Zaniolo venne poi lasciato libero e le sue rivincite se le è prese dopo, strada facendo. Tra i due non c’è stato neanche modo di diventare amici e – di certo – non sarà quella di domani l’occasione giusta. Succederà più avanti magari, per ora pensano tutti e due solo a come vincere la partita dell’Allianz Stadium. I muscoli gli permettono di "strappare", lasciando indietro i difensori: ora Fede deve usarli anche per reggere il peso che si somma sulle sue spalle. L’assenza di Morata, quella probabile di Dybala, l’esperienza tutta da costruire del suo probabile partner in attacco, lo mette al centro della fase offensiva bianconera. Se dietro ci sono le solite facce a guidare le truppe (Chiellini e Bonucci), da centrocampo in su sarà lui, il numero 22, l’osservato speciale. Se la prima stagione è stata quella dell’inserimento nei meccanismi bianconeri (ed è andata molto liscia e molto di fretta), la seconda sembra prevedere una sua evoluzione in campo. Non più la linea laterale come compagna di corsa, non più la fascia come terreno di conquista: ora l’ex viola deve, anche per necessità della squadra, avvicinarsi alla porta e recitare da vera punta. Lo farà domani, lo ha fatto in passato nella sfida più memorabile fra le sette che ha giocato conto i giallorossi in carriera. Quarti di coppa Italia del 2018-19, clamorosa vittoria 7-1 dei viola di Pioli sui giallorossi di Di Francesco, con tripletta di Fede, usato da attaccante di destra in un tridente. Da allora i passi in avanti sono stati numerosi, complice la grande fame e la voglia di imporsi sul campo. Le recite da protagonista nella seppur breve Champions di un anno fa lo hanno reso ancora più consapevole dei suoi mezzi, il trionfo estivo in azzurro lo ha abituato a volere il massimo. Ora in classifica insegue e sa che la risalita passa dalla Roma. Per Zaniolo invece la partita di domani ha mille significati diversi e forse anche qualcosa in più. Perché contro la Juventus – anche se a Roma, allo stadio Olimpico – è iniziato il suo calvario, il 12 gennaio del 2020, con il ginocchio destro che ha ceduto di schianto proprio durante una delle sue proverbiali accelerazioni. Oltre un anno e mezzo prima, invece, l’allora d.s. bianconero Fabio Paratici si era dimenticato un «pizzino» in un ristorante di Milano, dove accanto ai nomi di Chiesa e Tonali c’era anche quello di Zaniolo. Con una cifra eloquente, quel 40 che stava lì ad indicare la valutazione massima fino a dove spingersi per portare il giovane talento giallorosso a Torino. Quel trasferimento non si è mai fatto e oggi come oggi Zaniolo punta soprattutto a diventare il simbolo della Roma di Mourinho. Il fastidio al flessore– che gli ha fatto dire di no alla chiamata in extremis di Roberto Mancini – è oramai acqua passata. Ed a stimolarlo ancora di più ci sarà non solo la sfida a distanza con Chiesa, ma anche quella con Kean, suo grande amico ai tempi della nazionale Under 21. "Mi mancava, sono contento sia tornato in Italia – ha detto tempo fa parlando proprio di Moise – L’ho visto cambiato, è molto più maturo". Adesso tocca a lui fare il definitivo salto di qualità. E la partita di domani, in tal senso, ha davvero mille perché...

Il Messaggero: Non c’è niente da fare, il fascino di José Mourinho è eterno e planetario. Qui e altrove. A Roma, sono già tutti pazzi per lo Special; a Newcastle, vorrebbero “impazzire” il prima possibile. Già, perché il nome che si fa nel nord d’Inghilterra dopo l’acquisto del club da parte dei ricchissimi sauditi, è proprio (e solo) quello dello Special. Qui ha conquistato una città in poco tempo, con le parole (sempre puntuali, sia quando gioca in difesa sia quando deve attaccare) e con i fatti (a parte due evitabili cadute, derby compreso). Ormai, è una specie di totem, e ombrello protettivo: ogni partita, ogni trappola, ogni difficoltà è superabile perché c’è lui, questo il pensiero romanista. Una sorta di magnetismo, che coinvolge, trascina, dà speranza. In Italia ha strappato il cuore agli interisti, ora la missione si ripete nella Capitale. Ovunque vada, ruba un cuore. La terra dell’amore, però, è l’Inghilterra, quella Premier che ha conquistato e dalla quale si è fatto sedurre. Londra, la base, Manchester la scappatella: dal Chelsea al Tottenham fino allo United, un po’ ovunque ha lasciato il segno del successo. Newcastle la prossima tappa? Vedremo. Certo, città sulla carta assai meno affascinante. Roma è la città eterna, come il suo fascino: al giallorosso si è legato per tre anni, un progetto finalizzato a portare a casa qualche risultato, eccome se da queste parti se ne sente il bisogno. E questo bisogno, Mou, ce l’ha dentro da sempre. Eterno anche quello. La Premier è innamorata di lui e ora che il Newcastle ha i soldi degli sceicchi per conquistare il mondo, non può far altro che considerare lo Special uno dei candidati, anzi il candidato della ricostruzione, innanzitutto dell’immagine saudita: un Paese troppo spesso accusato di violare i diritti umani, vuole sfruttare il calcio - con vista Mondiali 2030 - per rifarsi il look. Dunque, da domani o dopodomani, soldi e garanzia di campioni per chi allenerà il Newcastle, cosa volere di più? Mou ha dato la parola ai Friedkin e ora non pensa a nulla, se non alla Roma. Concentrato su una partita che non è proprio insignificante, né per lui né per il suo club né per i suoi tifosi. La Juve aspetta, o risale o resta sotto le sabbie mobili, la Roma vuole volare, pur sapendo - come ricorda sempre José - che la rosa quest’anno non proprio è all’altezza. Ora è meglio non ascoltare le sirene inglesi, ma lì il dibattito imperversa. Giovedì, il Mirror ha citato Danny Mills, ex calciatore della nazionale inglese, secondo il quale nessuno andrebbe meglio dello Special (“anyone better”) per la panchina del Newcastle (che oltretutto aveva già sondato Mou nel 2019, ma era tutto un altro contesto, c’erano altre ambizioni). Ha ragione Mills, chi sarebbe meglio di lui? Mou è conosciuto in tutto il mondo; Mou è una calamita per gli sponsor; Mou diventerebbe l’uomo immagine per il fondo che ha in mano il principe saudita Mohammed bin Salman. I tifosi del Newcastle sognano sui social, quelli della Roma non si curano di loro, ma guardano a domani sera: la Juve è sempre una ferita aperta, ma è la prima con Mourinho in panchina. E con lo Special a guidare l’assalto, può essere davvero la volta buona. E in futuro... bè, non sarà mica facile portarglielo via, né domani né dopodomani.

Il Corriere della Sera: De Rossi è stato capitan futuro per una carriera intera: è diventato capitano e basta a 34 anni, quando Totti ha abbandonato il campo e gli ha ceduto i gradi. Pellegrini, invece, la fascia al braccio ce l’ha già da tempo, dalla clamorosa lite - con declassamento - di Dzeko con l'allora allenatore romanista Fonseca: Lorenzo, romano e da sempre giallorosso, venne individuato come erede del bosniaco, e pazienza se di anni ne aveva appena 24. È il capofila di una generazione di giovani e giovanissimi leader: lui è il capitano della Roma, molti altri ragazzi aspirano a diventarlo nelle loro squadre. Che non sono realtà di quartiere: Inter, Milan, Juve, Napoli. Barella è il capitano designato dell'Inter, destinata a fine stagione a separarsi da Handanovic. Idolo dei tifosi, maturo anche nella vita di tutti i giorni (la moglie Federica gli ha dato tre figlie), a 24 anni il centrocampista sardo può diventare il punto di riferimento del mondo nerazzurro: Zangh permettendo, ovvio: se le difficoltà economiche dei proprietari dovessero ripresentarsi la prossima estate, è quasi scontato che i più ricchi club europei proverebbero a portare via proprio Nicolò. Il quale, nel frattempo, sta però trattando con l’Inter il rinnovo del contratto, in scadenza nel 2024: la firma, con rilevante aumento d’ingaggio, potrebbe arrivare entro breve. Il Milan, è noto, punta (quasi) tutto sui giovani: è la linea dettata da Elliott. Qualche scelta si dimostra giocoforza sbagliata, ma Maldini azzecca gran parte dei ragazzi: Leao e ancor più Tonali, dopo un periodo più o meno lungo di faticoso adattamento, si stanno affermando come talenti puri. Immaginare Sandro quale futuro leader del suo amato Milan non è affatto difficile. Qualcuno sembra non accorgersi che anche la Juve sta seguendo lo stesso percorso giovane, sebbene i suoi ragazzi abbiano costi elevati o a volte — come nel caso di De Ligt — addirittura esorbitanti: dall’olandese a Kulusevski, da Kean a Locatelli, ormai da tempo Agnelli ha intrapreso un percorso verde, non in linea con la tradizione del club. Ma oggi il talento che più colpisce è indiscutibilmente Chiesa. Nemmeno lui è costato poco (60 milioni, bonus inclusi), però la sua affermazione è dirompente: era già un trascinatore nella squadra di Ronaldo, quando strappare una piccola parte di copertina a Cristiano sembrava un atto di lesa maestà; sta acquistando un peso sempre maggiore adesso. Così come Osimhen, anche se il suo impatto straordinariamente positivo sul Napoli lo si vede più in campo che nella leadership, ancora nelle mani dei grandi vecchi della squadra di Spalletti. Il fatto che i ragazzi in questione siano quasi tutti italiani è confortante, per Mancini e per i tifosi: nel calcio la personalità conta e i Mondiali sono lontani appena 13 mesi. Ma forse proprio il c.t. ha contribuito a costruire questi giovani con le spalle larghe, oltre che con i piedi buoni: è stato lui a dare loro fiducia perfino quando nei club erano ai margini. L’icona rimane la convocazione di Zaniolo in un periodo in cui ancora nessuno si era accorto che si trattava di un campione. Poi lo hanno notato tutti, ma a quel punto era facile.


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