Questi i titoli di oggi di alcuni dei maggiori quotidiani italiani:

Il Messaggero: Un gol allo Zorya per riprendere il feeling perduto al derby. Perché Abraham ci teneva a lasciare il segno nella sua prima stracittadina. Ma, come spesso capita, quando cerchi tanto una cosa è la volta buona che non solo non ci riesci, ma nemmeno ci vai vicino. Contro la Lazio Tammy ha vissuto il pomeriggio più difficile da quando è sbarcato in Italia. Per carità, si è dato da fare (16 passaggi riusciti, 2 passaggi chiave, 2 recuperi, 2 falli subiti) ma è mancato in quello che associ quando pensi al numero 9: il tiro in porta. In quei 90 minuti non è mai stato messo in condizione di concludere, nemmeno una volta. Un dato che non è passato inosservato alla luce anche di quanto visto - al netto della modestia degli ucraini - giovedì. Perché un attaccante che in 10 minuti colpisce un palo e segna un gol, dovrebbe ricevere più palloni possibili. E invece Abraham sinora ha calciato poco verso la porta avversaria. Anche a Verona, gli era riuscito soltanto in un’occasione. Il totale, al momento, recita 10 tiri in 6 partite giocate in campionato. Per intenderci e rimanendo in zona: Immobile, nello stesso periodo, è già a quota 24 (dati Opta).

PROVE DA LEADER
Numeri che sorprendono per due motivi: 1) Mou ha sempre avuto in queste prime uscite un’impostazione offensiva. Anzi, a volte gli è stato imputato anche di essere andato oltre, alterando gli equilibri della squadra, pur di praticare un calcio aggressivo. 2) Non andate a spiegare a José come si mette un attaccante in condizioni di segnare. La risata - ripensando alle decine di gol che i vari Milito, Ibrahimovic, Eto’o, Drogba e Kane hanno siglato alle sue dipendenze - vi seppellirebbe. Eppure quei 10 tiri in 6 partite (media 1,6 a gara) restano lì impressi. Abraham è un attaccante generoso che gioca per la squadra, si allarga e crea spazi per i compagni. Va però messo in condizione di cercare di più la conclusione personale. Lo score, nonostante la giovane età, parla per lui: 94 reti (coppe comprese) in 217 gare disputate non sono arrivati per caso. È probabilmente insito nel processo di crescita naturale suo e della squadra ma per il salto di qualità della Roma, oltre al ritrovato Pellegrini e al ritorno di Zaniolo, serve un Tammy decisivo. Più responsabilizzato, maggiormente smanioso di cercare la conclusione, più al centro del gioco, paradossalmente più egoista. C’è riuscito a 22 anni nel Chelsea, da semi-sconosciuto.

Difficile pensare che non possa ripetersi in giallorosso. E su quest’onda emotiva, l’inglese vuole lasciare il segno già con l’Empoli, davanti ai 30mila dell’Olimpico (aperto ai tifosi giallorossi anche il settore ospiti). In campionato c’è riuscito contro Salernitana e Udinese, contro la Fiorentina, pur non segnando, è stato il migliore. Altre volte, si è ritrovato a ricevere spinte e colpi proibiti, costretto a giocare spalle alla porta, non facendo mai una piega. Nato e cresciuto in Premier, Abraham è il classico giocatore che le dà e le prende, senza lamentarsi. Gli è capitato domenica scorsa, quando avrebbe gradito maggiore assistenza dai compagni, ma sono dinamiche diverse che rimangono confinate al campo. Nonostante sia arrivato da poco, ha già capito l’importanza che riveste il derby in città. Chi lo vive e lo vede a Trigoria, lo racconta come un ragazzo spontaneo e genuino. Caratteristiche che si riflettono nel suo modo di giocare e vivere il calcio. Uno che, quando lo stadio intero canta ‘Roma, Roma’ e viene abbassato il volume per far risaltare l’urlo della gente, alza il pugno in versione rapper, ritmando la strofa, a cercare la carica emotiva giusta. Quella che al derby, prima di lasciare il terreno, ha promesso per il ritorno girando più volte il dito verso chi lo insultava dagli spalti. Come a dire “Ci rivediamo il 20 marzo”. Data però lontana 6 mesi. Prima, bisogna ripartire. Domani è l’occasione giusta.

Il Tempo: Il calcio italiano ed europeo è sull’orlo del baratro dopo anni in cui le società sono andate avanti a forza di spese pazze. La situazione dei bilanci non era rosea già da prima dello scoppio della pandemia di Covid, ma la diffusione del virus, che ha portato all’interruzione dei campionati nella passata stagione e che soltanto adesso sta permettendo ai tifosi di tornare a seguire le partite allo stadio, è stata una mazzata enorme, quasi fatale per numerose aziende dell’industria football. A pagare enormemente la crisi pandemica sono stati in particolare i club italiani, che hanno dei bilanci in profondo rosso, che fanno sembrare Dario Argento un dilettante dell’horror in confronto a quanto si legge nei documenti societari delle big del nostro Paese. Juventus, Inter, Milan e Roma, nei due esercizi toccati dal disastro Covid, hanno accumulato perdite per ben oltre un miliardo di euro complessivo: le tre società del Nord sommate hanno visto un rosso di circa 940 milioni totali, mentre i giallorossi hanno chiuso la prima stagione impattata dal virus con un meno 204 milioni e ora, in attesa che entro il 28 ottobre venga approvato l’ultimo bilancio, ci sarà comunque una perdita a tre cifre, visto che i conti segnalavano che il risultato economico dei primi nove mesi era negativo per 108,3 milioni. E intanto la famiglia Friedkin continua ogni mese ad immettere capitale all’interno delle casse di Trigoria: tra agosto e settembre sono stati fatti finanziamenti per altri 85 milioni, con un’esigenza continua di liquidità che non farebbe disdegnare ai texani l’ingresso di un socio di minoranza. Diversa la situazione di Suning che per ora non molla la guida dell’Inter dopo il prestito da 275 milioni del fondo Oaktree, di cui però soltanto 80 milioni lordi sono stati messi a disposizione della società milanese, con la proprietà Zhang che ha tenuto per sé il resto e ora deve far fronte alla caduta del colosso immobiliare cinese Evergrande, che ha fatto quasi andare in fumo la bellezza di 2,6 miliardi di investimenti. Una crisi senza fine per gli Zhang. Se la passano meglio la Lazio di Lotito e il Napoli di De Laurentiis, ma anche per loro i numeri sono tutti col segno meno davanti: in particolare i biancocelesti, nonostante il ritorno in Champions League, hanno registrato una perdita di 24,2 milioni, dopo quella da 15,8 milioni dell’anno precedente. Guardando all’estero non possono affatto sorridere e il meno 245,6 milioni dell’Inter, che ha rappresentato il record assoluto in negativo nella storia della Serie A italiana, sembra quasi una bazzecola in confronto alla perdita da capogiro del Barcellona: il bilancio ha segnato un negativo pari addirittura a 481 milioni, mentre a fine marzo il debito dei blaugrana era schizzato alla cifra monstre di 1350 milioni. Numeri che hanno obbligato la presidenza Laporta ad un drastico taglio dei costi, grazie al quale dovrebbero essere messi in equilibrio i conti al termine dell’attuale stagione. Male anche il Manchester United, con un -107,4 milioni, e il Borussia Dortmund (-72,8 milioni), mentre si salva il Real Madrid, che grazie ad una politica di contenimento dei costi, che ha portato a delle sessioni di calciomercato tutt’altro che galattiche, ha chiuso sostanzialmente in parità, con un leggero utile da 874mila euro. Al di là di qualche esempio virtuoso, come può essere quello del Bayern Monaco, e di quei club come PSG e Manchester City che hanno alle spalle il Qatar e gli emiri di Abu Dhabi e che quindi non fanno testo nello squilibrio tra costi e ricavi, l’analisi economico-finanziaria del mondo del pallone che rotola sul prato verde è impietosa e se non si trattasse del calcio, un sistema che non può andare zampe all’aria, si parlerebbe di rischio default concreto. Di certo il taglio dei ricavi da sponsor e l’assenza di ricavi da abbonamenti e botteghini ha avuto un peso importante su questa sfilza di numeri negativi, ma il futuro - e già tanti club nell’ultimo calciomercato si sono mossi in questa direzione - sarà segnato da un continuo ridimensionamento dei costi. Possiamo però essere sicuri che non appena la situazione Covid si sarà stabilizzata e magari i diritti televisivi del calcio torneranno a crescere riprenderanno le folli spese degli ultimi anni. La sete di vittoria è troppo forte.

La Gazzetta dello Sport: L’eco del derby non si esaurisce mai, soprattutto nelle dichiarazioni dei protagonisti. Una volta inizia Sarri, un’altra Mourinho, poi interviene Tare e via, il giro ricomincia. Ieri il tecnico portoghese, dopo la vittoria in Conference League, è tornato a pungere la Lazio parlando, ancora una volta, di squadra “che sembrava piccola”. Mou, in questo momento, è il re della Roma giallorossa e qualsiasi sua dichiarazione è una sorta di Bibbia per i tifosi, ma stavolta c’è anche chi gli chiede di “guardare avanti: abbiamo perso, basta parole, pensiamoci al ritorno”. Mourinho è, senza se e senza ma, l’uomo immagine della Roma. E la sua reazione al derby, tra il discorso in campo alla squadra subito dopo la sconfitta e le parole nel post partita, hanno riempito di orgoglio la stragrande maggioranza dei tifosi: “Solo Totti e De Rossi in passato ci hanno rappresentato e difeso così”, i commenti che tra domenica e lunedì si sentivano nelle radio e leggevano sui social. “Sei il nostro condottiero, indicaci la via”, un altro dei messaggi più frequenti sull’allenatore. “Adesso è tornato il vero Mourinho, lo sentite il rumore dei nemici?”, si sono chiesti i romanisti per almeno 24 ore. Ora però, c’è anche chi tra i tifosi non gradisce più di tanto il botta e risposta. Un tifoso, in una radio, stamattina ricordava quando Ranieri dopo un derby vinto disse ai laziali che i romanisti stavano, testuale, “godendo come ricci” e le lamentele dei rivali non facevano che aumentare questo godimento: “E quindi evitiamo di fare la stessa cosa”. A Mourinho e ai giocatori, i tifosi, chiedono di guardare avanti, dimenticando una volta per tutte la Lazio. “Tanto ci vediamo al ritorno”. Il derby dura, in fondo, una stagione. Quest’anno ancora di più.

 

 


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